In pochi hanno avuto la fortuna di ascoltare musica live al CBGB. Sia perché ormai chiuso da diversi anni, anche se non troppi da cancellare il ricordo di chi ha potuto godere di questo posto cult, sia perché Club d’oltremare. Il CBGB fondato nei primi anni 70, inizialmente nacque con uno scopo diverso da quello che in realtà diventò, ha spianato la strada a più di una scena musicale cominciando da quella New Wave e Punk americana.

Il posto è il CBGB. La Street è Bowery. La città è la mitica New YorkSogno e parco giochi di migliaia di persone al mondo. La Città per eccellenza che nasconde mille contraddizioni, ma che allo stesso tempo è emblema di libertà.

Cosa avrà di speciale un posto così di periferia? La zona industriale era squallida e la gente che la popolava lo era altrettanto, erano veterani del Vietnam o emigrati e sfigati. Il vino contribuiva a sfornare ubriaconi riversi per strada e quelli che riuscivano ancora a camminare sbattevano da una parte ad un’altra. Di speciale c’è che i frequentatori del CBGB non erano tipi da farsi questo genere di problemi. Piuttosto il fermento li attirava numerosi perché di li passavano quasi per caso i Television o i Ramones. L’interesse era tanto da far riscaldare in poco il cuore dell’Est Village di Manhattan.

 

E quale migliore contraddizione poteva nascere dalle viscere di questa città se non i Velvet Underground, con un Reed in erba che creava band estemporanee e costruiva armonie semplici ma intriso già di quel “non so che” di sperimentale vicino all’avanguardia musicale. Non a caso scoperti da quel genio multimediale di Andy Wahrol che li lancia da subito nel suo immenso spettacolo che prende vita negli scantinati della città: l’Exploding Plastic Inevitable Show, nel quale si incontrano e scontrano le arti visive messe insieme in una serie di proiezioni di filmati, danza e musica. Per i Velvet è appena l’inizio. Dal nulla scoperti dal Re della pop art, buttati di soprassalto in un progetto più grande di loro iniziano ad avere sete di successo commerciale. Vogliono essere conosciuti ed apprezzati dai più. Da quel circolo di intellettuali che li ascolta, che si lascia affascinare da quel sound sporco che è la New Wave, ma che ancora non comprende per bene.

>Aspetteranno l’esplosione di quei fermenti che frizzano in città. L’assalto sonoro che come bollicine impazzite si carica per esplodere in tutta America e miscelarsi con gli ambienti inglesi.

Nel frattempo a NewYork impazzano gli omogeneizzati e lo yogurt, il sottovuoto e i liofilizzati, la lavastoviglie e i detersivi, il Tetrapak e il Domopak, i collant e la minigonna, il Lego e la Barbie, la Polaroid e gli autogrill, lo scotch e i circuiti integrati, la pillola anticoncezionale e i pannolini... Insomma, giornate di solide intuizioni ed euforia diffusa, di libertà sessuali e vicende da copertina.

 

Intanto la Factory di Wahrol si rinnova sempre, per cambiare d’abito e d’abitudini da modellare sulla pelle degli americani. E’ proprio in questo presepe di nuovi oggetti del consumismo che c’è chi si mette in tasca l’appellativo di poetessa con estrema leggerezza e disinvoltura. Il divertirsi a “giocare con le parole” è stata la fortuna della Smith. Anche lei suona al citofono della Factory , chiede di entrare per lasciarsi permeare dall’aria di innovazione e colori.

Una donna che al rock nella sua vita non c’ha mai pensato, anzi lo vedeva lontano anni luce dalle sue corde. << Affare di uomini >> diceva.. Non poteva fare di meglio, se si pensa che li dentro conoscerà John Cale che sarà il produttore dell’album che più di tutti la porterà avanti nel tempo almeno di trent’anni. Patti incide in modo convulso ed energico, con Horses, i paragrafi del suo Rock. Con questo album si conferma la migliore interprete femminile del rock attraverso un susseguirsi di echi, canti febbrili e chitarre soliste che rimangono rispettosamente da parte per lasciare spazio alla sua voce gutturale e trascinante.

Lou Reed, Andy Wahrol, Patti Smith sono solo alcuni dei nomi che hanno dato volti diversi allo stesso periodo newyorkese. Chi ha contribuito a demistificare le icone, a dare un significato diverso agli oggetti della quotidianità e a mercificare tutto ciò che, fino a quel momento, era considerato autentico.. o ancora, chi le icone voleva crearle a tutti i costi per mezzo della propria immagine.

Tutti loro hanno modellato le loro arti al fine di dare l’immagine più vera dell’epoca in cui hanno vissuto, chi con la musica, chi con l’arte in tutte le sue forme. Nessuno si sarebbe lasciato scappare un briciolo di quel presente.

Che siano anni passati, o presenti, il lifestyle newyorkese fa parlare di se lanciando mode e costumi.

Non rimanere attaccati a tutto il passato potrebbe essere una soluzione, portare con se un buon passato per poterci costruire sopra un futuro più brillante potrebbe essere la miglior soluzione.

 

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