Ci sono posti nel mondo così grandi nei quali l’occhio non riesce a cogliere le sfumature che li rendono preziosi, altri nei quali persino le case sembrano minuscole, dove tutto sta stretto tranne il sogno che si porta dentro da una vita; altri ancora che, seppur piccoli o all’ombra di grandi centri appollaiati sotto l’ala del successo, seducono senza possibilità di sottrarsi. Quei posti nei quali, solo per il fatto di viverli, è come fare un viaggio perenne nella vita.

Dove un concerto può cambiare il corso della storia che verrà. Dove il pubblico è ossigeno e vuole sempre di più: vuole vedere scorrere il sangue. Se in mezzo al pubblico si confondono personaggi come Howard Devoto, Ian Curtis o Morrisey si sa già che la storia è Manchester.

4 giugno 1976. E’ la prima volta dei Sex Pistols in città e la Lesser Free Trade Hall è pronta. Sebbene solo 42 persone si trovavano lì, in quel momento, l’evento diventa storico.
Ebbene si, da questo concerto nascono due Band che animeranno le notti degli anni ’70 della “capitale del nord inglese”.

Joy Division e Buzzcock.
Parte dei Joy Division c’era già, si chiamavano Warsaw(in omaggio a Bowie e al suo capolavoro “Warszawa”, contenuto nell’album “Low”). Conosciutisi sui banchi della Salford Grammar School, avevano messo su una Band senza quasi saper suonare, alla quale mancava ancora il tassello fondamentale di quella che diventerà la leggenda. E’ appunto Ian Curtis, poeta e cantante già ad appena venti anni. Conosciuto insieme al produttore Hannett, proprio a quel concerto. Appena un anno dopo i Warsawregistrano sull’Ep “An Ideal For Living” quattro dei loro pezzi più rappresentativi (“Warsaw”, “No Love Lost”, “Leaders Of Men” e “Failures”). E’ con naturalezza che seguono il loro percorso, sino a  trovare l’alchimia giusta e si inizia a parlare dei JoyDivision veri e propri.

Eppure il lancio della Band tarda ad arrivare, nonostante diverse demo registrate e la voglia di confezionare i loro testi in un album che non vedrà mai la luce. Sembra di rimandare l’appuntamento con il desiderato successo che arriva durante un’ospitata allo show televisivo di Tony Wilson, veramente interessato al sound dark inconfondibile dei Joy. Questo bizzarro personaggio è anche il proprietario dell’etichetta indipendente “Factory Records” e sfrutta il palco del Russel Club, uno dei club più leggendari della città, dove Curtis e compagni si esibiscono regolarmente fino ad affinare il  loro status di vera e propria cult-band. Hannett organizza un tour insieme agli amici di sempre, i Buzzcocks, che con due date consecutive all’Apollo Theatre di Manchester, permette al gruppo di uscire finalmente dalla Gran Bretagna arrivando fino al “Paradiso” di Amsterdam.

Dalla furia del punk allo stridore del Britpop, Manchester è stata il cuore dell’innovazione musicale e da questo momento nascono i migliori brani di sempre. Basta pensare a “Atmosphere”, a “24 Hours”, a “Transmission” dei Joy Division. Senza dimenticare “Ever fallen in love” dei Buzzcock, figli dei Ramones, che  spingono temi fino allora tabù, quali politica e società, sesso e droga.

A Manchester si vive in modo diverso da tutto il resto del mondo.
All’inizio degli anni ’80  i The Smiths fanno il loro ingresso nella scena musicale e i luoghi che costellano le strade della città hanno segnato momenti indimenticabili: a partire dal Salford Lad’s Club (sulla copertina dell’album “The Queen is Dead”)  per finire con il The Ritz, dove la band si è esibita live per la prima volta, passando per il Southern Cemetery, dove Morrissey si incontrava con l’amica Linda Sterling.

 

Nel frattempo Manchester è diventata MaDchester, la città folle e sprizzata, impasticcata e sintetica fino al midollo. Rivoluzioni sempre in atto per un luogo che ha fame di nuovo, di vita e che soprattutto possiede quella rabbia e quella tristezza tramandata dal postpunk esistenti solo in quel preciso contesto storico e socioculturale.
Chi ne ha preso il meglio sono gli avvocati divorzisti della città che aprono uno studio di nome “Love will tear you apart”. Un caso?
Manchester non teme più Londra, né Liverpool.
Manchester ha lasciato il segno, forte, della sua storia.

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